All’interno di una stessa immagine possiamo vedere in primo piano cose diverse rispetto allo sfondo seguendo vari piani di lettura. Eppure appartengono allo stesso quadro di riferimento.
Vi è mai capitato che un amico o un conoscente vi mostrasse una foto e ve la descrivesse con trasporto e sentimento? E voi la guardaste un po’ indifferenti pensando “Mah! A me non sembra poi un granché. Che ci vedrà mai?!”
Oppure, scorrendo le foto del vostro telefonino, o riguardando dentro una vecchia scatola di fotografie ritrovaste una foto che ricordavate con tanta emozione e adesso vi lascia indifferenti? Eppure l’immagine è sempre quella.
Questo per dire che non esiste un significato unico della fotografia in fototerapia, ma c’è un modo privato e intimo di vederla e raccontarla, secondo i tempi, i periodi o le situazioni che ci coinvolgono. Non parlo quindi delle foto famose di grandi artisti, o quelle che si possono scattare in un corso di fotografia mentre si apprende la tecnica, ma di quelle comuni (che scattiamo personalmente o fatte da altri) che ci attraggono particolarmente e che possono celare un significato privato e personale che non è comprensibile a tutti, a meno che non venga raccontato.
Questa è una parte importante in fototerapia perché l’immagine fotografica aiuta a chiarire l’interno del proprio mondo di valori, emozioni, sentimenti, significati inconsci e a farli emergere mentre si parla della fotografia che più ci prende. Aiuta a capirsi, e a farsi capire da chi sa ascoltare con attenzione e partecipazione. Un conto è avere un’impressione di qualcosa che rimane un po’ sfuggente nella nostra testa, un conto è parlarne e ascoltarsi mentre ci si racconta rimanendo concentrati sull’immagine. Questo aiuta a cogliersi profondamente e, mentre si attivano ricordi ed emozioni legati a quel momento rappresentato nella foto, contestualmente si dà la possibilità di riscriverci sopra una storia diversa, quella che vogliamo ora qui e adesso.
Uso la fototerapia durante i colloqui psicologici perché mi stupisce sempre la quantità di dettagli che una foto può contenere. E non parlo solo di dettagli fotografici dell’immagine che all’occhio “inconscio” magari possono sfuggire, ma parlo dei numerosi vissuti che possono essere raccontanti partendo dalla stessa immagine. La ricchezza e la profondità del lavoro in fototerapia nasce nel momento in cui c’è qualcuno che narra con trasporto la storia della foto, e un’altra persona che ascolta in modo partecipe mentre, con profondo rispetto, guida la conversazione verso i “non detti” della vita del narratore. Accettare quei contenuti è l’istante che fa ripartire. E’ un momento e le foto aiutano a farlo riemergere.
La Fototerapia è una tecnica.
Vuol dire che ha diversi campi di applicazione. Non è un uso esclusivo del campo psicologico. Può essere usata in laboratori per adolescenti; in gruppi di lavoro per favorire la conoscenza tra i suoi componenti; durante la riabilitazione cognitiva; e nei colloqui psicologici individuali o di gruppo. Il suo significato lo assume in funzione dell’ambito in cui viene applicata. Presuppone che ci sia un conduttore che conosca la fototerapia e la applichi all’interno del suo campo di conoscenze.
Nel mio caso uso la fototerapia all’interno dei colloqui psicologici ad esempio come tecnica di attivazione per esplorare aspetti emotivi che emergono con difficoltà. Può essere inserita durante il percorso psicologico che il cliente sta seguendo, oppure se richiesto, iniziare da subito e lavorare principalmente con questa tecnica durante tutto il periodo degli incontri.
Perchè le foto in Fototerapia.
Iniziamo col dire questo:
- non esiste una foto giusta o una foto sbagliata;
- non esiste un significato univoco della foto che guardiamo;
- non ci importa indagare cosa il fotografo in quel momento voleva esprimere;
- non ci interessa fare una valutazione critica della tecnica fotografica adottata;
ma durante il setting della consulenza psicologica esiste solo l’immagine che tu scegli, che ti chiama ed è in risonanza con la tua emozione.
Si costruisce così una relazione tra chi parla e chi ascolta che esplora quello che le parole non riescono a dire. E tutto ciò passa attraverso un riconoscimento reciproco dell’uno e dell’altro – tu parli e io ti ascolto – mediato dal dialogo sull’immagine.
“Scegli una foto che ti racconta. Scegli una foto che descrive la tua rabbia. Scegli una foto che parla della tua gioia. Scegli una foto che ti piace e una che non ti piace… ed ora se ti va parlane”.
Quali foto vengono usate.
- Puoi portare foto scattate da te che ti piacciono e ti raccontano.
- Puoi portare foto del tuo album di famiglia.
- Puoi portare foto di te che hanno scattato i tuoi amici o altre persone.
- Puoi usare foto scattate da altre persone che si trovano presso il mio studio.
- Puoi scegliere immagini dal web o dalle riviste che in qualche modo raccontano di te.
- Puoi scattarti autoritratti dove preferisci. C’è anche la possibilità di usare un vero e proprio set di uno studio fotografico allestito da me.
Il lavoro sulle foto si svolge principalmente in studio tranne quello dell’Autoritratto Fotografico (dove viene allestito un set fotografico).
Per saperne di più sulle tecniche di fototerapia secondo le tecniche di Judy Weiser puoi andare sul suo sito cliccando qui.